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Il numero quattro sulle spalle. Un gladiatore in mezzo al campo. Un direttore d’orchestra capace di abbinare precisione e decisione. Il massimo, insomma, che si possa chiedere ad un calciatore. Il suo nome? Roberto. Il suo cognome? Breda. Si, Roberto Breda. Come dimenticarlo. In casa Salernitana, soprattutto. Da quell’ottobre 1993, quando dalla Sampdoria raggiungeva la Campania: destinazione Salerno. Giovanissimo il mediano dai piedi buoni e dal grande avvenire. E quella Salernitana, ricca di giovani promesse a partire dal tecnico Delio Rossi, macina gioco e punti proprio grazie all’arrivo di un regista in piena regola. Da quell’ottobre, Breda vestirà la maglia granata per altri sei lunghi anni: conquistando la cadetteria e la massima serie. E’ uno dei calciatori più amati dalla tifoseria, dentro e fuori dal campo. Abnegazione e professionalità la sua ricetta vincente. Non abbandona nemmeno gli studi, quelli di economia. Le parentesi Parma e Genoa, prima di far ritorno alla casa madre nel 2003. In terza serie, prima della riforma cadetta a 24 squadre. La sua esperienza, questa volta, guida un gruppo giovane. Sino a quando l’era Aliberti termina in maniera becera. Dal campo alla panchina nell’era Lombardi, poi giacca e cravatta per guidare l’assessorato allo sport prima di accettare una nuova sfida da allenatore a Reggio Calabria (formazione primavera e quest’anno prima squadra). All’Arechi, venerdì, lo ritroveremo da avversario… in panchina. Ma Roberto Breda, non probabilmente ma sicuramente, non sarà mai un avversario. E’ stato un protagonista della storia della Salernitana e lo sarà per sempre, da professionista e uomo vero. Il gol che resterà per sempre impresso nella memoria del tifoso granata? Vi ricordiamo solo lo stadio, il “Partenio” di Avellino.
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