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Quella di una “evangelizzazione mediatica” è un’idea “illusoria quanto errata”. Parola del card. Bagnasco, che ha definito tale eventuale opzione una “sintesi frettolosa e carica di fraintendimenti”. Il Presidente della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana, ha affrontato l’argomento nell’ambito del convegno nazionale, Testimoni digitali, in corso all’Hotel Summit a Roma, ad otto anni dall’analogo incontro “Parabole mediatiche”.
“La Rete è, come ogni altro ambito di relazione, un luogo di evangelizzazione per annunciare Cristo e per annunciare l’uomo”, ha puntualizzato il presidente della Cei, secondo il quale questo è “il tempo di riscoprire l’alfabeto dell’umano, poiché le grandi categorie – come la persona, la vita e la morte, la famiglia e l’amore – rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati, di essere risucchiate e sfinite da un individualismo dominante ed esasperato”. Di qui la necessità di andare oltre “ogni deformazione culturale: come ricordava il Concilio Vaticano II, incontrare Cristo, l’uomo perfetto, e accoglierlo nella propria vita, introduce nella umanità vera e piena a cui tutti sono chiamati”. In questo “dinamismo missionario”, gli animatori della comunicazione e della cultura sono “protagonisti nella Chiesa”, chiamati “ad essere sale di sapienza e lievito di crescita”. In concreto, ciò significa “non essere conformisti e non cercare inutili quanto sterili forme di consenso consolatorio”, ma anche “soggetti attivi, terminali di connessioni, attivatori di partecipazione gratuita e responsabile”, perché “la Rete non è fatta di confini, ma di ponti”. Come il cuore di Dio.
“L’impegno della comprensione e della progettazione della presenza della Chiesa nel mondo dei media digitali – ha proseguito il card . Bagnasco – è, come dice il Papa, ‘un ambito pastorale vasto e delicato’, richiede cioè di soffermarsi anzitutto sull’azione della Chiesa nell’attuale contesto per individuare forme attestabili di fedeltà al Vangelo”. L’opera di evangelizzazione, come afferma il Papa, “non è mai un semplice adattarsi alle culture, ma è sempre anche una purificazione, un taglio coraggioso”. Due, per il presidente della Cei, “gli ordini dei problemi che gli scenari definiti dai media digitali presentano all’intelligenza credente e alla responsabilità progettuale della nostra Chiesa”. Il primo è la “prospettiva missionaria dell’animazione culturale”, cioè “la questione di come la fede cristiana possa innervare le realtà che si vanno definendo, sia dal punto di vista della costruzione delle simboliche culturali personali che dal punto di vista delle strutture sociali”. La seconda, la “riflessione per comprendere le strade attraverso le quali rispondere alla domanda di come si possa esprimere il Vangelo nella contemporaneità”.
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