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“Sette tele per sette giorni”, questo il tema della mostra presso la galleria “Il Catalogo” di Salerno, che Lelio Schiavone e Antonio Adiletta dedicano a Giovanni Tesauro, giovane pittore salernitano, personale visitabile fino a sabato 4 dicembre. L’artista continua a sviluppare il suo filone preferito, quello del paesaggio urbano, proponendo sette vedute della città eterna, da cui ogni facile emotività è bandita e la cui rappresentazione si regge sull’espressione di un momento unico e irripetibile. “Forse non sono molto umano. Il mio desiderio era di dipingere la luce del sole riflessa sul muro di una casa”. Sulle tracce di Edward Hopper, il wanderer che da sempre alberga nel suo intimo sentire, Giovanni Tesauro ci rende partecipi dello stupore e dell’innocenza della visione di Roma.
La città è un soggetto che ha sempre affascinato e ispirato l’immaginario degli artisti, almeno a partire dalle opere medievali, passando per la città ideale rinascimentale e le rappresentazioni realistiche ottocentesche, fino alla “città che sale” dei futuristi. La descrizione “oggettiva”, realistica della città, che ha avuto il suo momento culminante nell’arte e nella letteratura dell’Ottocento, si fonde spesso con la rappresentazione “soggettiva” di essa, fatta di ricordi, sensazioni e invenzione. Giovanni Tesauro ha scelto Roma, che cerca di cogliere con il suo sguardo interiore e ingigantire, particolari e dettagli che sfuggono alla quotidiana percezione, per rompere quell’incantesimo che, attraverso mappe, cartoline e pubblicità, fa oggi di ogni luogo lo stesso luogo, rendendo familiare e più o meno identico qualunque paesaggio urbano. I soggetti di questa pitture possono apparire all’osservatore come parti di un catalogo che, invece di mostrare caratteristiche meramente architettoniche o paesaggistiche, metta in luce la carica di possibilità percettive che emerge dall’essenza, dall’irrealtà isolata in cui sono colti.
Il lavoro del pittore si incentra sullo studio delle forme, dei punti di vista, delle prospettive e su un trattamento del colore che predilige l’accentuazione di tonalità piene, la delineazione di contrasti, l’utilizzo raro di sfumature in funzione alienante. Emerge da queste opere, prepotente, la pienezza fenomenica di una pittura che possiede grande energia e talvolta persino asprezza d’accenti timbrici, ma anche accordi tonali delicati e dolci, tenuti però con sobrietà nella gamma dei bruni e degli azzurri, spessori e intrighi materici tormentati con furia o accarezzati con morbida insistenza, e andamenti variamente mutevoli, attraverso un incedere ora spezzato e convulso, dove si sente la volontà di non cedere ai lenocini del mestiere, ora al contrario rapido, vigoroso e largo: reminiscenze, si potrebbe dire, dell’impeto essenziale che animava certe opere informali, come quelle di Schneider o di Moreni. Questa nuova produzione di Giovanni Tesauro, è prodiga di suggestioni e di suggerimenti che le creano intorno un alone di risonanze emotive, non lontane dalla Wanderer Fantasie di schubertiana memoria: libertà di associazioni tonali, profonda unità formale, data dal ricorrere, attraverso tutti i suoi “movimenti” di un’unica cellula fondamentale che si amplifica fino a farsi elemento strutturante dell’ intera “composizione – esposizione”. Non deve sfuggire come la stessa oscillante trama di rimandi e di corrispondenze sia ancorata intorno ad alcuni nuclei figurali profondi, che s’intravedono nel groviglio delle pennellate e dei colpi di spatola, ma che una volta individuati si rivelano carichi di un’ eccezionale forza espressiva. Sono geometrie d’azzurro e di nero, di rosso, grigio o arancione, graffiate e distese di scatto sulla superficie del quadro; grumi, rimescolii vorticosi e turbolenze, frammenti di un mondo colto in certe sue essenziali qualità sensibili che nascono ancora dal desiderio elementare di riproporre il paesaggio in un modo meno esplicitamente dichiarato, declinato con energia e drammaticità, automatismo e vigore esistenziale, esuberanza, fisicità, irruenza sentimentale. Non improvvisazione, dunque, ma consapevolezza di esprimere una riflessione intellettuale affidata ad una gestualità estremamente colta, che in sciami abbaglianti celebra la sintesi compiuta fra il colore e la forma, complementari nel processo operativo, tramite il quale Tesauro aspira ad approdare ad una pittura dove tutte le parti si integrano in uno sferico insieme musicale.
GIOVANNI TESAURO
Si laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, città ove vive fino al 1995. Nel 1988 tiene la prima personale alla galleria Tatou di New York. Nel 1990 collabora con la Richard Ginori per la realizzazione di un mosaico nella città di Sesto Fiorentino. Del 1997 è la personale alla Ken’s Art Gallery di Firenze, mentre del 1999 è l’invito alla Rassegna Terza Voce, allestita negli spazi della Fondazione Cini di Venezia. La personale alla Galleria 2M di Parma è del 2001, anno in cui parte il viaggio che segnerà la sua esperienza; percorre i territori canadesi da Vancouver fino all’Alaska. Nel 2004 è invitato alla Prima Biennale Giovani Artisti Campani, tenutasi a Napoli; l’anno seguente, la galleria Il Catalogo di Salerno, organizza una sua personale. Nel 2005 è invitato alla mostra Collezione Permanente Salerno 1970-2005 allestita al Fondo Regionale d’Arte Contemporanea di Baronissi, nel 2007 espone nella mostra Urgenza della Città, tenutasi presso i Grandi Magazzini Teatrali di Campobasso, mentre sue opere sono state esposte alla XIII Biennale d’Arte sacra. Nel 2008 è ancora al Frac di Baronissi, con la personale “On The road” . Attualmente lavora con la galleria “Il Catalogo” di Salerno.
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