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Una presenza viva sul territorio è il compito emerso da un convegno Caritas a Roma

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La Caritas deve essere una “presenza viva nel territorio, per costruire un’ampia alleanza che ponga la diversità al servizio dell’intero territorio e della Chiesa che abita in esso”. Lo ha detto don Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, concludendo il primo semiario nazionale per équipe Caritas diocesane, svoltosi di recente a Roma sul tema: “Il contesto sociale, culturale, economico e politico”, alla luce dei nuovi Orientamenti pastorali della Cei, dal titolo “Educare alla vita buona del Vangelo”. “Occorre sapere – ha proseguito don Nozza – che dobbiamo arrivare in parrocchia, e che i due livelli – quello diocesano e quello parrocchiale – sono l’uno a servizio dell’altro, per poter essere così fermento per tutta la realtà, a servizio della ‘cura piena’ di tutta la vita senza distinzioni, ma con una grande passione”. Quella della Caritas, dunque, secondo il suo direttore, deve essere “un’azione di accompagnamento, non di sovrapposizione sulla comunità”, a partire “dall’ascolto, dalla capacità di cogliere ciò che si muove”. Dal 16 al 18 maggio – ha annunciato il direttore della Caritas – ci sarà un altro appuntamento analogo. Titolo del secondo momento di incontro delle Caritas: “La povertà e le società dinamiche”, sullo sfondo sempre gli Orientamenti Cei. Il XXXV Convegno nazionale Caritas è in programma invece dal 21 al 24 novembre, sul tema: “Chiesa che serve ed educa alla carità”.

“Non riesco ad immaginare un servizio di assistenza sociale senza che ci sia anche qualcosa di educativo”. Lo ha confessato don Giacomo Panizza, condirettore della Caritas diocesana di Lamezia Terme, intervenendo alla giornata conclusiva del convegno delle Caritas diocesane. Fondatore del “Progetto Sud”, una comunità autogestita insieme a persone con disabilità, don Panizza dal 2002 ha preso in gestione, a Lamezia Terme, un palazzo confiscato alla mafia, di proprietà della cosca dei Torcasio, che risiede a pochi metri da lì: quando vuole entrare, don Giacomo deve suonare il loro campanello. “Educare, curare e governare sono i tre mestieri impossibili, ma è anche impossibile non farli”, ha detto il sacerdote sottolineando come “la responsabilità educativa è in primo luogo personale, ma possiede anche una dimensione comunitaria, che va condivisa nella famiglia, nella comunità e nel territorio”. Soprattutto in un territorio dove la ‘ndrangheta si propone come “luogo di educazione totale”. “Ci sono territori che ‘educano’ – ha spiegato – e che sono più pericolosi del terrorismo, perché educano nei modi di fare politica, di fare economia, di fare potere”. È nato proprio in questa prospettiva il “Manifesto contro la cultura dell’emarginazione”, rivolto a tutti coloro “che imparano dalla società a essere diversi e inferiori”, e che hanno bisogno di essere riscattati. “L’educatore – ha testimoniato don Panizza – attua la sua azione anzitutto attraverso l’autorevolezza, frutto di esperienza e competenza, che si acquista soprattutto nel tempo con la coerenza della vita e con il coinvolgimento personale”. Di qui la necessità di “costruire stili educativi”, attraverso “una grande alleanza tra tutti i soggetti della società”.

Quali sono le “prospettive” della Caritas in parrocchia? Per rispondere, secondo don Dino Piraino, parroco di Santa Maria Assunta a Catanzaro e già rettore del Seminario regionale, serve un navigatore satellitare, che quando si accende “si sintonizza con il satellite e mi dice dove sono, qual è il mio contesto sociale, economico e politico”, formulando così “un invito a leggere bene il territorio, a guardarmi attorno mettendomi in rete”. In secondo luogo, ha spiegato don Piraino, il navigatore satellitare “ci chiede di scegliere le caratteristiche dell’itinerario, cioè le scelte di fondo: il senso del tempo presente, che è tempo di crisi e di discernimento, e dunque di svolta; il valore del sacrificio, che non è segno di fallimento, ma segno di un cammino che si prepara per qualcosa di nuovo; il senso della storia che diventa consegna alle generazioni future; il prendersi cura che fa della parrocchia un luogo fragile, ma di tutti”. Quando poi il navigatore “ci chiede di digitare la méta, ci chiede dove vogliamo arrivare, cioè che cosa significa per noi essere Chiesa: sta ad ognuno di noi mettere l’indirizzo preciso”. Il pregio maggiore del navigatore satellitare? Don Piraino non ha dubbi: “Il ricalcolo”. “Non ti rimprovera – spiega – se sbagli strada più volte, ricalcola continuamente il percorso, finché non arrivi alla méta continua a trovare soluzioni”. Da parte nostra, ha concluso il relatore, “è necessaria la capacità di accettare la vulnerabilità: quello del ‘navigatore’ è un invito alla coerenza, attraverso una proposta che indica una direzione precisa, ma che ci esorta anche a fare i conti con la nostra fragilità. Senza avere fretta, imparando la pazienza necessaria a compiere il cammino verso il Regno di Dio, qui ed ora”.

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Scritto da su 9 Febbraio 2011. Archviato in In evidenza, Sociale. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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