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Mostra di Mario Marcucci alla galleria “Il Catalogo”, visitabile fino a mercoledì 2 marzo

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Prosegue, alla galleria “Il Catalogo”, la mostra dedicata a Mario Marcucci in contemporanea con la grande mostra retrospettiva a lui dedicata dalla sua città, allestita nelle sale di Villa Paolina Bonaparte, “Mario Marcucci e Viareggio. Ambienti e riflessi”, un progetto, questo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, nato in occasione del centenario della sua nascita, con una esposizione di olii e acquerelli, che è visitabile fino a mercoledì 2 marzo. Nelle opere esposte “(…) Si possono ammirare i paesaggi, le marine, le pinete, le strade e le piazze della cittadina versiliese  – scrive Raffella De Santis su Repubblica Arte – rivelanti la vita, e l’amore per la sua terra”.

Il linguaggio di Mario Marcucci si è sviluppato attraverso l’indagine e la rappresentazione del paesaggio della sua terra natale fatto di mare, barche e pineta; attraverso la particolare luce del luogo ha affinato la sua ricerca analizzando e indagando tutte le possibili variazioni del linguaggio del colore come mezzo per catturare le sembianze del reale, con il quale ha rappresentato nature morte, ritratti e autoritratti di grande valore e suggestione. Il colore era una sorta di ossessione per l’artista, che lo ho condotto ad una sterminata produzione di oli e acquerelli eseguita su tutto quanto gli capitava sotto mano, fogli di giornale, pagine di libri, legni di ogni genere, coperchi di barattoli di latta, cartoni, tele, tutto poteva essere utilizzato e l’enorme quantità di dipinti che ha lasciato lo testimonia. I suoi paesaggi, siano essi realizzati su di un foglio quadrettato o sulla carta oleata di un salumiere non sono mai una concessione alla materia né un’esibizione di virtuosismo.

I quadri di Marcucci, come le due nature morte in esposizione, dipinte ad olio, “Cesto di Cipolle” del 1947 e “Cesto barattoli e brocca” rivelano la bellezza e la poesia di quelle cose che per essere umili e modeste hanno bisogno di essere capite, interpretate o descritte da un artista perchè il mondo si accorga di loro. Sono nature morte, paesi, campi, angoli solitari della natura non «pittoresca», né orrida, né smagliante, ma comune, semplice, senza eccessi di linee, di colori e di contrasti. La durata del segno di Marcucci, sia esso un ritratto o un paesaggio come ad esempio “Figure di schiena” su di una pagina del Corsera del maggio del 1971 o un “Canale di Viareggio” è  infinita:  la  loro  immagine si forma a un  fuoco  impreciso, è prima di  tutto un’immagine mentale conservata e  riattivata nella memoria. Soggetto già riflesso nel tempo, che, senza residui utilitari, fisso e prestabilito nella sua casuale appartenenza, presta  le sue macchie e  il suo mare, gli addensamenti delle ombre,  i vuoti d’aria  dei  piani,  ad  una  dialettica  interna  che  li  riadatta  in  una  sequenza  di  colori  semplici,  li ridispone per relazioni spaziali diverse da cui deriva un particolare respiro della  luce che palpita con uguale  intensità  in ogni apparenza  la più  trascurabile dell’immagine e  tutto unifica a tutto imprimendo, al cielo come a un cespuglio, l’identica pulsazione profonda.

Mario Marcucci (28 agosto 1910- 2 maggio 1992), viareggino, refrattario a qualsiasi inserimento nelle correnti d’arte del nostro secolo, ha mantenuto un personale linguaggio pittorico e un appassionato  scambio con poeti, letterati ed artisti divenendo  così una figura emblematica del ‘900, un artista complesso che ha svolto la sua ricerca in più direzioni nell’ambito della figurazione e della pittura tonale. Marcucci si pone essenzialmente in quella sfera artistica vicino a De Pisis, Rosai e Morandi, da cui si allontanò solo per un breve periodo – alla fine degli anni quaranta – per confrontarsi con le suggestioni del Cubismo. Importantissima nella sua formazione fu l’amicizia con il poeta Luca Ghiselli, suo coetaneo, prematuramente scomparso nel 1939.  

Agli inizi della guerra entrò in contatto con gli Ermetici fiorentini. Durante la sua carriera ottenne numerosi riconoscimenti (nel 1941 vinse il Premio Bergamo; poi il Premio Marzotto nell’ambito della Rassegna di pittura italiana di Venezia; il Premio 8×10 di Roma nel 1951, il Premio Michetti nel 1953 e il Fiorino nel 1954) e partecipò a numerose esposizioni fra cui alcune edizioni della Quadriennale Romana e della Biennale di Venezia. Nel corso degli anni cinquanta soggiornò a più riprese a Roma, si trasferì poi a Firenze, dove rimase fino al 1966, anno in cui fece ritorno definitivo nella città natale. Questo periodo segna indubbiamente anche la fase più alta della sua ricerca pittorica con la creazione di alcune delle sue opere più belle, importanti e significative. Diventato quasi completamente cieco, dalla metà degli anni Ottanta smise di dipingere.

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Scritto da su 22 Febbraio 2011. Archviato in Culture, In evidenza. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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