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Venerdì 23 settembre alle ore 18.00, nell’ incantevole cornice della chiesa di San Pietro a Stio Cilento, recentemente recuperata alla pubblica fruizione, si terrà una tavola rotonda, sul tema “Unità d’Italia tra Storia e Istituzioni:150 anni di Futuro”. Il dibattito, alla cui promozione e organizzazione ha collaborato la sezione salernitana della Società Filosofica Italiana, sarà presieduto dal suo presidente Carmine Mottola e saluterà quali relatori Gennaro Incarnato, studioso della Storia del Risorgimento, e il sen. Stefano Ceccanti (nella foto), docente di diritto Costituzionale comparato all’Università la Sapienza di Roma.
Il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia, che la cultura ufficiale sta celebrando nell’anno 2011, in uno dei momenti di snodo della nostra vicenda politica ed istituzionale, richiede una riflessione lucida e rigorosa, capace di collocarsi al di là degli schemi delle apologie incondizionate di un tempo e delle attuali posizioni liquidatorie caldeggiate da alcuni settori ideologici. Interrogarsi sul senso e sulla persistenza di funzione e di significato della sovranità nazionale , sull’identità linguistica e culturale del popolo e dello Stato italiano nato dal Risorgimento, nell’attuale momento, tra spinte centrifughe opposte e complementari di mondializzazione e localismo,ci sembra un compito della massima attualità e valenza culturale e civile.
Il 1861 corrisponde alla fondazione di uno stato, il Regno d’Italia, uno stato che per la prima volta nella storia raccoglieva in unità politica la più parte di quei territori che chiamiamo Italia. A sua volta, questa unità politica consentiva che gli italiani nel loro insieme si ricongiungessero alla storia della moderna Europa. Da quel processo eravamo rimasti emarginati per circa tre secoli, durante i quali profonde trasformazioni avevano aperto la strada a un impetuoso sviluppo non solo economico ma civile. Si aggiunga che questo sviluppo, il problema si presenta ovunque ai giorni nostri, non era una libera scelta ma una dura necessità, perché in presenza di un forte incremento demografico, quale era in corso anche in Italia, la modernizzazione è l’unica strada che consente di evitare conseguenze tragiche.
Ma pur senza sottovalutare il significato di questa unità politica e i benefici che ne conseguivano anche sul piano economico-sociale, di non minore importanza è il fatto che il Regno d’Italia era retto da libere istituzioni. Con il 1861 finiva di esistere il dominio di governi come che sia assolutisti. Era anche in Italia, il processo si sarebbe concluso nel 1870, il tramonto dell’Ancien Régime. Da allora gli italiani cessavano di essere sudditi e si accingevano al difficile apprendistato per diventare cittadini, cioè persone libere. Per questo solo e semplice fatto ci sentiamo di ritenere del tutto pacifico che il 1861 debba essere valutato positivamente. Ma, ovviamente, come spesso nella storia e come spesso nella vita, le occasioni vanno sapute cogliere.
La storia, alla quale il 1861 apriva la strada, è proprio la storia di come gli italiani hanno saputo mettere a frutto l’occasione che è stata loro offerta di diventare liberi cittadini. Se e in che misura l’occasione sia stata colta è questione che nel momento conviene lasciare aperta, ma possiamo dire che un pur sommario esame delle condizioni, oggi, della nostra vita pubblica rende quanto meno lecito dubitare che quel compito di educazione politica sia stato assolto. Il problema, il problema vero, di una seria riflessione intorno alla data dell’Unità d’Italia non riguarda il valore di quel risultato di per sé, riguarda piuttosto il perché alcune promesse implicite in quel risultato non siano poi state mantenute, ed è nostro compito, di questo scarto tra le cose sperate e le cose ottenute, tra gli ideali e la realtà, una realtà ancora ben presente, comprendere le ragioni.
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