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Retrospettiva del pittore ternano Carlo Quaglia allestita alla galleria “Il Catalogo” di Salerno

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La galleria salernitana Il Catalogo di Lelio Schiavone e Antonio Adiletta, quale secondo appuntamento della sua quarantaquattresima stagione espositiva, pone il suo sguardo sul pittore ternano Carlo Quaglia, il cui segno si ricollega alla significativa esperienza della Scuola Romana. La mostra, che sarà inaugurata sabato 26 novembre alle ore 19.30 e sarà fruibile sino al 17 dicembre, comprende venti opere, tra olii e disegni, in cui il pittore ternano mette in luce alcune calde e brucianti memorie della città d’adozione Roma, si propone quale raffinato elaboratore di nature morte, alle quali si unisce anche il motivo paesaggistico a far da giusto contrappeso al barocchismo dei monumenti, inclinando la tavolozza dell’artista verso la pennellata larga, in cui il colore gli si diffonde raffinato e vibrante.

Il gesto di Quaglia che ci irretisce non trasale al rigo dell’epica o della retorica. In questo contesto e su questi presupposti, non può essere per il valore drammatico d’un presunto realismo, nè per le connotazioni o per valori plastici (peso e spessore), che il segno di questo artista si contraddistingue, non c’è neppure teatralità di colore-luce; ma esclusivamente per i valori d’introspezione psicologica; e qui la differenza non è data nella lontananza, che è poi comune, da suggestioni manieristiche e barocche (c’è una ’frontalità’ nella composizione di Quaglia che tiene lontani da rotazioni e contorsioni proprie del cinque-seicento), ma rispetto a un modo d’introspezione, che è soggettivamente “interiorizzato”. Cogliere la realtà nascosta puntando fortemente alla oggettività possibile dell’intimità delle cose, che, per tale via e con questa fede mimetica, acquista un forte potere accattivante.

Passioni, luce e colore vengono a connaturarsi alla materia dell’accadere e al segno che lo coglie: si piegano al contenuto, si offrono a generare il clima tematico. La materia, intesa come contenuto narrativo, anche dove si definisce ’con crudezza’, è sempre “umana”, perché sottoposta a curiosa interrogazione, indagata, oggettivamente narrata. La plasticità, deriva dall’idea e dalla funzione che la materia assume nella composizione. L’identità del tema del ’corpo’ con quello della ’materia e “della “sonorità” dei toni, della capacità dei segni di scrivere senza descrivere è la malleabile identità stessa del colore-luce con lo spazio contenuto- generatore della narrazione: è il connaturamento del colore-luce al corpo-materia, alla sua plasticità decorativa e alla sua decoratività plastica.

Quaglia non interpreta, rende immanente il trascendente fermando il palpito della vita in un fiore, in un timpano, in una scelta di luce. Verismo espressivo? Non può essere altrimenti per chi possiede le doti del taglio e dell’impostazione e s’addentra, con volontà di indagine, in particolari accentuazioni realistiche di forma. Ciò non vuol dire ridondanza, forse grandiosità che il senso scenografico dominante mantiene in armonica unità, e neppure sottile gioco di contrasti, dinamismo della figura generato dall’analisi più o meno approfondita dei particolari. E’ lo stile di Carlo Quaglia che cerca di emancipare la forma rendendola sempre più sintetica, con la spiritualità penetrante del poeta, il tedio doloroso, gli smarrimenti intellettuali di chi ha pensato e vissuto con il cuore il tempo della sua vita.

Carlo Quaglia (Terni, 1903 – Roma, 1970)

Si dedica tardi alla pittura: a Terni, infatti, compie gli studi tecnici e musicali e nel 1920 si impiega in banca, mentre prosegue gli studi universitari alla facoltà di Economia e Commercio, perfezionandosi contemporaneamente nello studio del violino. Nel 1925 decide di cambiare attività e si iscrive all’Accademia Militare di Modena, da cui si licenzia nel 1927 con il grado di ufficiale. Nella sua nuova veste di militare trascorre lunghi periodi a Firenze, Bologna, e, infine, nelle colonie dove tenta, da autodidatta, i primi approcci con la pittura. Partecipa per la prima volta ad una mostra collettiva nel 1940 a Derna, in Libia. Fatto prigioniero dagli inglesi e deportato in India – dove rimane per quasi tutta la durata del conflitto – rientra in Italia nel 1947 e, da allora, si dedica esclusivamente alla pittura. Stabilitosi a Roma, viene presto apprezzato dal pubblico: i suoi dipinti, in cui sono ripresi scorci di Roma, si distinguono per il colorito caldo e intenso e per quella sua pennellata vibrante che si ricollega alle esperienze della Scuola Romana di Mafai e Pirandello. Allestisce numerose personali in Italia e all’estero , partecipando anche alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma.

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Scritto da su 25 Novembre 2011. Archviato in Culture, In evidenza. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0. You can leave a response or trackback to this entry

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