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La criminalità economica frena il fatturato delle imprese. Quasi 2 imprenditori su 5 vedrebbero aumentare il proprio giro d’affari in assenza di illegalità. Corruzione (65%), frodi finanziarie (28,7%), lavoro sommerso (19,6%) sono a giudizio delle aziende gli ambiti di attività illegale maggiormente presenti nel proprio contesto economico. Un fenomeno in crescita secondo più di tre aziende su cinque. E’ quanto emerge dall’indagine Unioncamere e Istituto Tagliacarne sulla percezione da parte delle imprese dell’illegalità economica e della criminalità in Italia che sarà alla base dell’incontro di domani al Forum PA 2015 nell’ambito del convegno “Reti e progetti per un’economia legale” organizzato dall’Unione delle Camere di commercio in collaborazione con Libera, Associazione contro le mafie. Un’occasione importante per condividere insieme a una rete di 35 istituzioni e organizzazioni delle società civile le buone pratiche e costruire percorsi di legalità in una logica di sviluppo di partenariato culturale e progettuale tra pubblico e privato per un’economia attraente. A livello territoriale, risulta piuttosto complesso “misurare” gli atti di corruzione e peculato e fornire statistiche certe. L’aspetto complementare e parallelo alla corruzione è costituito dalle minacce e dalle intimidazioni. In questo ambito, a partire dal 2010, Avviso Pubblico (la rete degli Enti Locali per la formazione civile contro le mafie) pubblica un rapporto in cui vengono elencati il numero delle minacce e delle intimidazioni mafiose e criminali nei confronti degli amministratori locali e di persone che operano all’interno della Pubblica Amministrazione in tutta Italia. Nel 2013 12, sono 351 gli atti di intimidazione e di minaccia nei confronti di amministratori locali e funzionari pubblici; quasi uno al giorno. Cumulando i dati provinciali relativi alle minacce ed alle intimidazioni verso amministratori e funzionari pubblici contenuti nei rapporti Amministratori Sotto Tiro realizzati da Avviso Pubblico nel periodo 2010 – 2013, emerge un quadro piuttosto complesso, ove solo 34 province (su 10513) non sembrano interessate da tale fenomeno. Per altro verso, in 71 province (67,6%) si registrano atti di intimidazione e minacce nel periodo osservato. Le province in cui si registra la concentrazione maggiore di tali fenomeni sono quelle calabresi, siciliane, pugliesi e sarde; il Lazio si distingue per la crescita del fenomeno nell’ultimo anno. Reggio Calabria si pone in prima posizione (8,4% sul totale nazionale), seguita da Cosenza (7,5%), Palermo (6,4%) e Napoli (5,9%), a sottolineare come il fenomeno sia largamente presente nelle aree metropolitane portuali del Mezzogiorno, con particolare riferimento all’area tirrenica. La provincia di Roma (come quella di Salerno) si pone al 22-esimo posto (1,6%), attestandosi prima tra le aree del Centro Nord, seguita da Lecco al 27-esimo (0,8%), Torino al 28-esimo (0,8%), Latina al 29-esimo (0,7%) e Milano al 30- esimo (0,7%). Le province non interessate dal fenomeno sono prevalentemente del Centro Nord a non modesta intensità produttiva.
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